“Non possiamo tacere tutto quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20).
Papa Francesco, nel suo messaggio per la GMM, ha affermato che “quando sperimentiamo la forza dell’amore di Dio, quando riconosciamo la sua presenza di Padre nella nostra vita personale e comunitaria, non possiamo fare a meno di annunciare e condividere ciò che abbiamo visto e ascoltato. Come diceva il profeta Geremia, questa esperienza è il fuoco ardente della sua presenza attiva nel nostro cuore che ci spinge alla missione, benché a volte comporti sacrifici e incomprensioni”.
E nelle corsie dell’ospedale, quotidianamente, con il proprio lavoro, con la propria dedizione, tanti operatori sanitari, portano agli ammalati, oltre alla professionalità anche l’amore di Dio. Sono veri e propri missionari che soccorrono gli ammalati per far sperimentare loro la vicinanza di Dio nei momenti bui della loro esistenza.
Di seguito le testimonianze di alcuni operatori sanitari:
Bianca, un’operatrice socio – sanitaria, afferma semplicemente che per lei è una cosa spontanea e naturale dare sostegno non solo fisico, ma soprattutto morale a quanti vivono una situazione di disagio perché ogni volta si immedesima in essi e cerca di dare quello che lei vorrebbe per sé trovandosi a vivere la stessa sofferenza. È questo che fa la differenza e da senso pieno al suo lavoro.
Ferdinando, uno dei responsabili del centro prelievi, persona precisa, zelante e ligia al proprio dovere, parla del suo lavoro con un luccichio speciale negli occhi. Per lui svolgere quel lavoro da 40 anni è una vera e propria missione fatta “con il cuore, con passione e per il prossimo” perché sa che contribuisce alla guarigione e alla cura di tante persone. Con lui c’è un donatore di sangue: È davvero soddisfatto di quel piccolo atto d’amore, come lui stesso lo definisce, perché sa che ogni volta può salvare una vita.
Ho incontrato anche l’equipe del reparto di anestesia e rianimazione e il primario, la dottoressa Soucre ha testimoniato quanto segue: “Vivo la missionarietà e lo spirito di servizio proprio nell’essere medico perché mettermi al servizio degli altri è un modo di dare un senso alla mia vita; nella anestesia e rianimazione mi è naturale dedicarmi ai tanti viaggiatori della sofferenza, camminare insieme a loro dando con umanità tutto il sostegno professionale a chi ogni giorno mette la sua vita nelle mie mani e, in tanti casi, come ultima possibilità di guarigione. Consapevole di questa grande opportunità, io e tutti i miei colleghi e collaboratori siamo sempre disposti al colloquio, all’ approccio empatico, sincero. Al tavolo operatorio ed al letto di rianimazione e con i familiari dei nostri pazienti affrontiamo con responsabilità le difficoltà del percorso assistenziale con l’unica certezza di avere fatto tutto il possibile sul piano terapeutico e sul piano personale dando con gioia e speranza la propria competenza in aiuto di chi abbiamo in cura. Tutto ciò che da senso alle nostre fatiche è il sorriso dei pazienti, e il ringraziamento dei familiari è la più grande ricompensa. Abbiamo vissuto la pandemia con lo stesso spirito, vincendo le proprie paure ed incertezze ricorrendo anche alla preghiera per non lasciarci travolgere da qualcosa che sembrava più grande di noi. Sorretti dalla fede non abbiamo mai perso la speranza in quel “andrà tutto bene” che ci dicevamo vicendevolmente per non arrenderci”
E infine ci sono anch’io, il cappellano dell’Ospedale San Leonardo. Ogni mattina mi porto dietro il mio piccolo bagaglio. C’è dentro un cuore amorevole e caritatevole e tutta la fede nel Dio misericordioso che si china sulle ferite dell’umanità per versarvi l’olio della consolazione. È questa la fede, e insieme l’amore appassionato per Gesù e per i fratelli, che mi spinge a percorrere i sentieri impervi dei cuori feriti e a esplorare le terre desolate dell’animo umano per portare a tutti il vangelo della gioia nel tentativo, umile e delicato di portare sollievo e refrigerio, e far germogliare il seme della speranza.
Don Salvatore Coppola, Cappellano