Il 16 gennaio 2018 è stata approvata la Legge 219, più comunemente nota come legge sul Biotestamento, volta ad indicare le norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento(DAT). Questa legge vuole essere un riferimento normativo nella complessità di una tematica, il fine vita, che, sollevata da casi di cronaca amplificati dai media e da informazioni di parte, ci vedono confusi e disorientati.
Ma il dibattito sul fine vita non può prescindere dalla domanda sul senso della vita: in un contesto culturale chiuso alla trascendenza, il morire è ridotto a fatto biologico e non più antropologico, la vita è apprezzata solo nella misura in cui porta benessere, mentre “la sofferenza appare come uno scacco insopportabile, di cui bisogna liberarsi ad ogni costo (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae)”.
Oggi rispetto al fine vita c’è il rischio di focalizzarsi più sulle procedure che sul senso; più sul primato della tecnologia che sulla cura dell’uomo. Si corre il rischio di scartare, a fine vita, la complessa dimensione esistenziale dell’uomo, e di oscillare arbitrariamente tra accanimento e abbandono, tra insistenza sulle funzioni vitali da protrarre e libertà dell’individuo a disporre di sé, perché nel panorama culturale attuale l’uomo è visto come unico referente di tutte le dimensioni del suo vivere, e del suo morire, e non come persona in relazione.
Il 27 e il 29 novembre abbiamo provato ad orientarci nella complessità della materia, con l’aiuto della dott. Regina Elefante, Consigliere di Corte d’Appello a Napoli, e col dott. Celestino Todisco, Dirigente del Comitato Etico Campania Sud. Con loro ci siamo confrontati con la legge sul fine vita, che non è solo questione giuridica, anche se era necessaria una legge che aiutasse a comprendere limiti e responsabilità di tutti gli attori coinvolti nel delicato confine tra vita e morte. E non è mancata la voce della nostra Chiesa diocesana: don Antonino D’Esposito, parroco della Concattedrale di Castellammare, e don Raimondo Di Rienzo, Assistente Spirituale del Servizio di Pastorale della Salute, ci hanno riportati alla dimensione umana della persona, fragile per natura, ma che nella relazione, col Signore e coi fratelli, può sperimentare accoglienza e consolazione. Le conclusioni, affidate al nostro Vescovo don Franco, ci incoraggiano e ci esortano a continuare un cammino di Chiesa che come Buon Samaritano si prende cura della solitudine di ogni uomo, e ne accompagna ogni suo passo, anche quelli più dolorosi.
Queste due serate sono nate dal desiderio di sentirci protagonisti informati in un dialogo sociale nel quale la voce dei credenti non può mancare, certi che la cultura è luogo di incontro e di arricchimento, ed è uno dei luoghi che non possiamo non abitare, se vogliamo, come ci suggeriscono i nuovi Orientamenti Pastorali della nostra Diocesi, vivere la gioia del Vangelo nella compagnia degli uomini
Dott.Lucia di Martino,
referente diocesana per la Pastorale della Salute