Linizio del nostro quinto incontro, svoltosi venerdì 9 marzo, don Carmine lo affida alle parole di un illustre clinico, il dott. Mussi, vissuto più di un secolo fa, che a proposito di ospedale scriveva: Vieni per essere guarito; se non guarito, almeno curato; se non curato, almeno consolato. E guarire, curare, consolare, sono tre parole di casa, in ospedale, ma che hanno bisogno del contributo di tanti per non restare parole.
Don Carmine ci presenta tematiche dense di significato e ricche di sapienza, e il tempo vola: comprendiamo che lospedale può essere luogo dove esercitare la speranza, dove crescere in umanità, dove grazie alla rete del volontariato il malato riceve molto di più che cure per il corpo. Un ospedale, ci ricorda don Carmine, può davvero esprimere il suo significato letterale di luogo di ospitalità. E per questo un ospedale deve sapersi aprire all esterno, guardando alle richieste nuove di una società sempre più multiculturale e multietnica, ma nella quale lattenzione ai più fragili è sempre meno presente. Ci vogliono compagni di cammino, capaci di trasmettere calore umano: è di pochi giorni fa lincontro di Papa Francesco con i Collegi degli Infermieri Professionali, a cui ha raccomandato la medicina delle carezze. E la tenerezza, che passa dal cuore alle mani.
Don Carmine ci parla anche della figura del Cappellano, espressione in Ospedale della presenza della Chiesa, che tutta quanta esercita la missione della tenerezza, e della consolazione, come ci ricorda sempre Papa Francesco, con i suoi calorosi inviti ad uscire, cercare, toccare le piaghe di Cristo, e includere, consolare, curare le ferite, come si fa in un ospedale da campo. E comprendiamo che lospedale non può restare fuori dai nostri progetti pastorali. Ospedale, parrocchia, territorio, famiglia, sono tessere di un puzzle che per comporsi ha bisogno di tutti. La parrocchia, “prodigio sociale” come la definiva Paolo VI, deve aprirsi ai luoghi di ricovero, per portarvi la presenza significativa dei cristiani.
Don Carmine ci ha presentato poi la realtà dellOspedale di Sorrento, con la rete del volontariato, con le tante iniziative portate avanti grazie ad un lavoro costante, appassionato, condiviso, che vede nella Cappellania il punto di unione delle persone di buona volontà, e che attraverso il Consiglio Pastorale Ospedaliero elabora progetti di umanizzazione e partecipazione. Tenendo sempre presente, continua don Carmine, che dialogo è la parola-chiave, che fa crescere anche la capacità di condividere il lavoro, nel quale è sempre importante il rispetto dei ruoli e lascolto, e che favorisce una mentalità nuova, di accoglienza e cura integrale, e di apertura al territorio. Sono vari e diversi i progetti nati dallimpegno ad essere segno e presenza della consolazione: come il gruppo di mutuo aiuto AMA, coordinato dalla Cappellania di Sorrento, dedicato alle donne con esperienze oncologiche, e come lassociazione Diamo vita ai giorni, che sostiene persone affette da varie patologie.
Il Ministero della Consolazione vive di relazioni: con le persone, con le associazioni, con i luoghi di ricovero; e necessita di una formazione continua, nei tre ambiti: del sapere, del saper essere, del saper fare. Lontani da qualunque improvvisazione, i Ministri della Consolazione sono adulti nella fede che aiutano il Parroco nel suo compito di presenza accanto ai fragili, anche nel tempo del ricovero, e del ritorno a casa.
Don Carmine ci ha indicato infine le domande su cui concentrarci per il lavoro nei laboratori:
- Osservando la realtà della tua Parrocchia e del territorio dove vivi, quale esperienza hai nella conoscenza, nel sostegno e nellaccompagnamento delle persone fragili, tenendo presente la traccia della relazione sopra esposta?
- Puoi dare un nome e un volto alle fragilità che tu conosci?
- Quali sono le possibilità, secondo te, di attualizzazione delle linee di azione proposte nella relazione, per il bene-essere delle persone fragili?
Il 20 aprile ci incontreremo per lultima tappa del nostro percorso. Metteremo insieme spunti, suggerimenti, esperienze, e insieme penseremo ai prossimi passi per essere sempre più, nelle nostre Comunità, presenza di una Chiesa al servizio delle fragilità.
In allegato, la relazione di don Carmine De Angelis
di Lucia DI MARTINO