Come gli Orientamenti Pastorali ci suggeriscono, i luoghi sono il contesto nel quale, nella compagnia degli uomini, viviamo la gioia del Vangelo. E una Chiesa ospedale da campo non può non abitare anche il luogo che forse più di tanti rappresenta il simbolo della pandemia: l’ospedale. Ospedale luogo di cura, luogo di relazioni, luogo di Chiesa che vive tra gli uomini.
La nostra Chiesa diocesana, nell’itinerario di passaggio da una pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria, riparte in questo tempo di prova proprio da quell’Alzati, scendi e va’ con loro, invito che lo Spirito rivolge a Pietro, e che ancora oggi risuona come invito per noi a calarci nei luoghi e nelle situazioni che tra smarrimento e speranza viviamo, e che ci interrogano. L’ospedale dunque è luogo di prospettiva pastorale missionaria, ricchezza per la Chiesa tutta. Compagni di strada nei luoghi di ricovero: su questo abbiamo ascoltato il 28 novembre via web i Cappellani degli ospedali della nostra Diocesi.
Don Salvatore Coppola, Cappellano all’ospedale di Castellammare, ci propone i ritmi della sua giornata in ospedale, quando al mattino presto è già in Cappella, per le Lodi e la Messa, a cui partecipano stabilmente alcuni medici. L’attuale organizzazione dei reparti, suddivisi in sporchi e puliti, per indicare la presenza o meno di degenti con sintomi da Covid, non consente accessi liberi, ma ugualmente si trova spazio per una presenza accanto a chi è più solo, dato il divieto di accesso ai parenti: e così capita che il Cappellano aiuti anche a dar da mangiare, in attesa dell’addetto al servizio. Si va dove si può accedere, come nel reparto Maternità, luogo di vita che nasce, e dove di recente si è celebrata la festa di San Gerardo, protettore delle partorienti insieme a Sant’Anna, festa molto sentita nel reparto Maternità, e che ha portato speranza cristiana e presenza della Chiesa. Ma avvengono anche tanti colloqui al di fuori dei reparti: con le guardie giurate, col personale sanitario e non, con quello di pulizia, con i parenti dei degenti… Testimonianza, in questo luogo di sofferenza e di paura del contagio, dove spesso ci si interroga, dice don Salvatore, se si sta operando nel modo giusto. Don Salvatore, nel racconto della sua esperienza di Cappellano, prima alla casa per anziani Villa San Vincenzo di Lettere, poi all’ospedale di Gragnano, e da appena un anno a Castellammare, ci suggerisce anche una riflessione su vocazione e servizio ospedaliero.
Don Salvatore Rossi, Cappellano all’ospedale di Vico Equense ci racconta: se all’esterno sappiamo con quanta angoscia si vive la paura del contagio, pensiamo quanta più difficoltà vive chi sta all’interno dell’ospedale. Sembra un paradosso, ci dice, ma hanno paura anche i medici e il personale. E allora è con loro che si comincia ogni giorno con piccoli segni di vicinanza: la liturgia del caffè, la gioia di piccole condivisioni. “La mia giornata – ci racconta – inizia col lasciarmi visitare dal Signore. Si inizia con la preghiera, e ogni mattina in Cappella si aggrega qualcuno: anche da noi in ospedale si vivrà l’Avvento, Luce per noi, luce per camminare insieme, perché non si cammina da soli. E poi la visita dove è consentito entrare, e non servono tante parole, basta lo sguardo, e l’ascolto, e a volte chiedo: Posso pregare per te?, e altre volte chiedo di pregare per me. Loro, gli ammalati, ci convertono, ci raccontano Dio. La loro umanità è ricchezza, come la mia fragilità”.
Don Carmine De Angelis, Cappellano all’ospedale di Sorrento. Anche don Carmine ci racconta la sua giornata in ospedale, che inizia con la Celebrazione alle 7:30 con le poche persone che possono essere presenti, e avendo adesso tanto più tempo per l’ascolto, ora che non si può più fare il giro dei reparti come una volta. I reparti Covid , ci dice, ora vengono raggiunti solo attraverso i medici, e in qualche reparto, anche attraverso un infermiere Ministro Straordinario della Comunione. Ma concorda che è tutto più difficile, anche per le vigenti misure igienico-sanitarie, per cui è consentita la visita ad un solo reparto al giorno, e solo in quelli non Covid. E ricorda come l’assistenza religiosa è un diritto dell’ammalato, e il Cappellano è parte integrante del percorso di salute. La Cappellania per ovvi motivi non può riunirsi in presenza, e anche il fiorente gruppo di automutuoaiuto, gruppo di sostegno per donne che hanno fatto esperienza di malattia oncologica, si riunisce solo on line, ed anche le visite dei familiari dei ricoverati avvengono attraverso videochiamate. Don Carmine ci ricorda anche il rapporto tra ospedale e parrocchia, che andrebbe potenziato nell’interesse del paziente dimesso, che talvolta non ha riferimenti su cui poter contare, una volta a casa. E ci dice come le videochiamate gli sono di aiuto per entrare in contatto con chi è positivo al Covid e sta in isolamento domiciliare, come alcuni del personale sanitario. L’ascolto, conclude don Carmine, in questo tempo è più che mai fondamentale.
Don Gerardo Cesarano, Cappellano all’ospedale di Gragnano. Don Gerardo ci racconta che la sua è la prima esperienza da Cappellano, che dura da appena un anno; e che ha trovato a Gragnano una bella presenza di operatori sanitari partecipi e propositivi, anche grazie all’impegno di don Salvatore, il precedente Cappellano, e al contributo di alcuni medici presenti ed assidui. Da questa realtà di Chiesa in ospedale sente di ricevere molto, e vive con speranza e gratitudine la compagnia degli uomini. Timidamente, ci dice, qualcuno entra in Cappella, e chiede ascolto.
Il nostro Arcivescovo, infine, ci richiama ad una lettura sapienziale di quanto emerso: è importante leggere nelle nostre esperienze i segni che Dio ci offre. L’incontro con I Cappellani ci conferma che il loro lavoro in ospedale avviene dentro la Chiesa, dentro quella Chiesa a cui dobbiamo guardare con un capovolgimento di prospettiva. Chiesa non chiusa su se stessa, ma protesa, che incontra l’altro nei suoi luoghi, e i luoghi non sono slogan, sono la presenza nostra nel servizio ai fratelli, e l’ospedale come luogo di servizio chiama tutti in causa. I Cappellani stanno dove la Chiesa deve stare: vicino agli ammalati, ai loro parenti, al personale, e questa Chiesa non deve essere staccata dalla Chiesa della tradizione, va stabilito un ponte, oggi nel rispetto di regole e limitazioni. Ed è importante suscitare sempre maggiore sensibilità verso gli ammalati e chi li assiste: chi sostiene I familiari? Non solo in questo tempo, ma sempre. C’è bisogno di un annunzio forte, di suscitare nelle parrocchie sempre più attenzione ai fragili.
I Cappellani, conclude don Franco, sono più che volontari, sono missionari. L’ospedale è terra di missione. Se noi come Chiesa ci lasciamo sollecitare dallo Spirito, la pandemia potrà generare una nuova umanità.
di Lucia di Martino