Fa parte di una lunga tradizione della Concattedrale di Santissima Maria Assunta e San Catello, celebrare la Solennità della Beata Vergine di Lourdes ma ormai come tutti sappiamo, le misure di prevenzione hanno impedito sia la numerosa presenza di ammalati che accorreva ai piedi dell’effige della Madonna di Lourdes e sia numerose iniziative previste per la festa . Naturalmente non ci siamo scoraggiati perché il parroco don Antonino D’Esposito ha preparato un Triduo di preghiera e celebrazione liturgica, animato da alcuni Gruppi della Comunità. Nel giorno della festa in occasione della XXX Giornata Mondiale del Malato, voluta trent’anni fa da San Giovanni Paolo II , alle ore 12.00 abbiamo recitato la Supplica alla Madonna di Lourdes e inoltre come da tradizione per la Santa Messa serale, in comunione con Lourdes, il nostro Arcivescovo Francesco Alfano ha presieduto l’Eucarestia e ha benedetto l’assemblea che cantava l’Ave di Lourdes alzando al cielo le candele in ricordo dei flambeaux .
Dopo la Liturgia della Parola, il nostro vescovo Francesco ha commentato così il passo di Marco 7,31-37:
“Un miracolo! come tante volte ascoltiamo nel Vangelo Gesù ha compiuto tanti miracoli ascoltarlo oggi nella Solennità’ della Beata Vergine di Lourdes ci consola, c’incoraggia in questo tempo in cui tutti abbiamo bisogno di un miracolo che ci tocchi il cuore e la mente e ci liberi da questo Male che ci attanaglia da ormai due anni. Dunque che cos’è un miracolo? E perché Gesù li compie? Dobbiamo stare attenti al senso che Gesù dà ai miracoli perché c è il rischio di non capirli e strumentalizzarli. Oggi il Vangelo ci presenta quest’uomo di cui sappiamo ben poco, nemmeno il nome, un sofferente non può né sentire e né parlare, è un isolato dalla società perché non ha la possibilità di relazionarsi liberamente e di vivere completamente la sua vita.
Quante volte è successo anche a noi in questo lungo tempo di pandemia, di sentirci privi e limitati dalle caratteristiche fondamentali delle nostre relazioni e forse ora rileggendo il testo di Marco possiamo viverlo e comprenderlo sotto un’altra luce. Nel testo l’evangelista ci fornisce un indicazione sulla provenienza del sordomuto, egli è un pagano ed è una di quelle poche volte in cui Gesù incontra un uomo che non crede nel Dio di Abramo, non rispetta la sua stessa Legge, non prega con i salmi e quindi è fuori è un escluso non appartiene al popolo d’Israele. Ciononostante quest’uomo col suo silenzio, col suo anonimato, ha da dire qualcosa anche a noi oggi perché non rappresenta solo se stesso ma i tanti anonimi di ogni tempo che in mezzo alla folla corrono il rischio di portare la loro sofferenza da soli senza che nessuno se ne accorga però in questo caso lui ha una “fortuna” ha qualcuno che si prende cura di lui e lo presenta a Gesù.
La Giornata mondiale del malato ci ricorda che solo se ci prendiamo cura gli uni degli altri possiamo affrontare la sofferenza così come successe a Bernardette che senza aspettarsi alcuna particolarità per aver visto e parlato con la Madonna, affrontò e patì la sofferenza in comunità insieme alle sue sorelle monache. Non è possibile amare gli altri aspettando una ricompensa perché il bene sazia di per sé soddisfa da solo ci riempie di Dio. Dobbiamo prendere esempio da queste anonime persone del Vangelo, le quali senza aspettarsi nulla portano il malato a Gesù non chiedendo il miracolo della guarigione fisica ma solo d’imporre la Mano di praticare quel gesto che nella Bibbia è prezioso perché significa trasmettere la forza divina affinché senta che c’è un Dio che non si è dimenticato di lui. Questa è una tentazione molto forte, infatti, quando c’è una grande sofferenza pensiamo e arriviamo a credere che Dio si è dimenticato di noi ma è umano è successo anche a Gesù sulla croce. Davanti a Gesù c’è un malato che ha bisogno di essere restituito alla sua dignità ed ecco che Lui lo porta in disparte non rimane davanti alla folla che avrebbe voluto sicuramente assistere per soddisfare la propria curiosità ma con una tenerezza infinita gli fa sentire la Sua presenza attraverso gesti rituali tipici della religione ebraica, toccandolo nelle orecchie e bagnandogli le labbra con la sua saliva e infine rivolgendo lo sguardo verso il Cielo gli dona il Suo Amore diventando un tutt’uno con lui .Soltanto alla fine può pronunciare la parola “Effatà” (“Apriti”) per liberarlo dal male fisico che è in lui ma soprattutto dal suo isolamento in cui era relegato ,perché colui che appartiene a Dio non può più vivere in solitudine. Perciò oggi ,nel tema della giornata mondiale del malato, abbiamo accolto la Parola di Gesù “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” e facciamola nostra perché siamo figli amati, fratelli e sorelle che escono dalla propria solitudine e come figli dello stesso Padre continuano il cammino con grande speranza”.
La celebrazione si è conclusa con la processione Eucaristica, all’interno della Chiesa, e con la benedizione finale.
di Francesca Tramparulo